giovedì 7 gennaio 2021

Bambini strappati

[I bambini] non sono intralciati da alcuna storia precedente e la loro tolleranza nei confronti dei genitori è illimitata. Ogni crudeltà psichica, cosciente o inconscia, compiuta dai genitori è difesa con sicurezza nell'amore del bambino dalla possibilità di venire scoperta.
[...] 
La dipendenza del bambino dall'amore dei suoi genitori gli renderà impossibile anche in seguito riconoscere i traumi che spesso restano celati per tutta la vita dietro l'idealizzazione dei genitori che avviene nei primi anni dell'esistenza.
[...]
La convinzione che ogni diritto stia dalla parte dei genitori e che ogni crudeltà - cosciente o inconscia - sia espressione del loro amore rimane radicata così profondamente nell'essere umano perché si fonda sulle introiezioni che avvengono nei primi mesi di vita, ossia nel periodo che precede la separazione dall'oggetto.
ALICE MILLER

"La persecuzione del bambino"
Le radici della violenza

Ed. Boringhieri


I neonati sono speranza. I neonati sono amore incondizionato e totale fiducia nei confronti degli adulti che stanno loro vicini. I neonati sono abbandono nelle braccia di chi circonda loro e totale abnegazione verso le persone che se ne prendono cura. I neonati suggellano l'unità familiare. I neonati dimostrano pubblicamente che una persona è adulta. I neonati sono il legame d'amore tra due adulti. I neonati vivono grazie all'adulto che se ne prende cura: costui diviene il fulcro della vita dei bambini e l'allontanamento di questo li destabilizza e li fa soffrire. L'adulto verso il quale ripongono completa fiducia, ha il potere enorme di essere la luce dei loro occhi. La persona dalla quale i neonati dipendono, può fare tutto, di loro, poiché i bambini matureranno, verso tale persona, una relazione di completa e totale adorazione. 

Il bambino è colui che perdona ogni singolo errore al genitore: anche il più terribile errore (e quando questo coincide con un reato, quanto dolore lascia, nell'animo del figlio?), quello che talvolta - anche non intenzionalmente si ritrovano a pensare i figli, è che quell'adulto che ha sbagliato - vada perdonato. Ne hanno pena. E di quell'enorme perdono i genitori ne hanno bisogno. Penso ai genitori che, presi dall'ugenza di adempiere all'ascolto del loro bisogno di genitorialità, chiedono aiuto esterno per diventarlo: chi si rivolge alla procreazione assistita eterologa o all'utero in affitto, ad esempio. Quanto senso di colpa debbono avere, questi genitori, nei confronti dei figli, se tengono nascoste le informazioni sul loro concepimento (accade per lo più alle donne non appartenenti al mondo dello spettacolo poiché vi è ancora molta vergogna della propria infertilità) oppure se fanno della loro scelta di vita una bandiera per i diritti degli adulti (avviene per lo più per le coppie di uomini)? E quanto tollerano i figli, con assoluta lungimiranza, nonostante lo shock iniziale alla notizia, pur sapendo di essere stati creati in laboratorio per la sola gioia dei loro genitori? Nessun figlio, alla scoperta di essere stato l'oggetto del desiderio, nonostante magari un'opinione non del tutto positiva nei confronti della tecnica stessa che ha permesso la sua nascita, decide di disprezzare i genitori: l'amore che un figlio riserva ai genitori è enorme. 
Ecco perché i figli sono realmente la felicità dei genitori.

Nessun figlio condanna mai il proprio genitore imperfetto e ignorante: la povertà intellettuale, la povertà economica e la povertà culturale, non sono un problema per il figlio. Qualunque figlio, tirato su con poco cibo e pochi vestiti, non condanna il genitore, ma ne ha compassione (tra l'altro l'idea che ci siano figli degni e figli indegni, è radicata nella mente di chi suppone che ci siano esseri umani degni e indegni di vivere. Convinzione che possiede soprattutto il mondo ricco, com'è riportato in questo documento del quale riporto solo una frase: «Non bisogna tuttavia credere che l’infanticidio era soprattutto conseguenza della povertà. In realtà dallo studio di lungo periodo che ho effettuato sul rapporto tra maschi e femmine quale indicatore di infanticidio (dato che la femmine erano considerate meno degne di vivere dei maschi) risultano più casi di infanticidio nelle famiglie ricche. I visitatori della Germania del XIX secolo riferivano: “È estremamente raro che una signora tedesca allatti i suoi figli”... “Ci sarebbe da stupirsi in effetti se una madre benestante suggerisse di dare una poppata al bambino”, dicendo “sporca troppo” o “non gli va di rovinarsi l’aspetto” o “allattare è sconveniente”.15 Il neonato era comunemente affidato a balie che il più delle volte erano “balie assassine” chiamate Engelmacherin, “creatrici d’angeli”, pagate per sopprimere i neonati a loro affidati. I figli della nutrice sarebbero stati a guardare la loro mamma porgere momentaneamente il seno al nuovo arrivato, sussurrandogli: “Povero, povero piccino... presto te ne andrai, presto...” e la mattina dopo avrebbero visto che il bambino era morto».)

Il figlio ama il genitore, comunque. 

Un figlio che capisce che dietro gli errori dei genitori non vi è malizia, ma ignoranza, e perdona. E arriva ad avere pena nei loro confronti.

Un figlio riscatta dalla vita: numerose storie di donne che sono rimaste incinte senza desiderarlo, ma che non hanno interrotto la gravidanza, hanno mostrato il fatto che si sono sentite migliori proprio perché sono diventate madri, vedendo, nell'amore dei loro figli nei propri confronti (un amore incondizionato e non giudicante), un modo nel quale la vita metteva loro a disposizione un mezzo per emanciparsi dai loro errori. 

Da sempre, nel mondo delle persone più povere, un figlio - nonostante sia faticoso crescerlo - è una ricchezza: l'amore che un figlio dà, è immenso. Un figlio è un dramma in quelle culture che assegnano al figlio una colpa nell'appartenere a un sesso specifico, in quelle società dove vige una religione nella quale l'appartenenza a un determinato sesso fa sì che questo sia una condanna per i genitori: nella cultura contro il sesso femminile, dove le femmine vengono abortite, vengono soffocate appena nate, dove le bambine femmine vengono mutilate, costrette a essere stuprate da uomini adulti, ingravidate per vendere i loro figli, usate come uteri per portare a termine le gravidanze di bambini acquistati. 

Perché i bambini sono l'estremo desiderio o, come vedremo dopo, il timore e l'oggetto di odio di tanti adulti? 
E, soprattutto, perché ci sono donne che, pur di avere un figlio, sfruttano un'altra donna?

«Lei è mia madre. L’unica donna che nonostante 35 anni di frequentazione, riesce ancora a farmi perdere la testa - e le staffe. Portatrice sana di femminismo inconsapevole, con le sue scelte impopolari mi ha insegnato che la vita, oltre che con caparbietà e coraggio, va affrontata con la giusta dose di incoscienza ed egoismo. Come quella di non allattare, di voler tornare a lavorare subito dopo la mia nascita, di sposare l’uomo che amava (che in Sicilia, nei primi anni ‘70, non era così scontato) e di insegnare italiano nelle carceri (...)» (si leggano le considerazioni della Miller, riportate prima dell'articolo). Non ci interessa sapere il motivo per il quale la persona che ha scritto questo post si senta autorizzata a manifestare pubblicamente la decisione di acquistare uno (forse due) bambini con l'utero in affitto, ma ciò che è importante è comprendere perché una persona che dovrebbe essere adulta, non solo racconta in pubblico la propria vita e gli affari personali, ma usa i propri bambini per dimostrare (a se stessa) che la propria (ovviamente singolare) scelta di vita deve essere normale nella sua straordinarietà. 
Il più grosso peccato dell'essere umano è quello del voler essere il proprio dio. Di desiderare ardentemente di aver ragione e di essere dalla parte dell'assoluta verità. Tuttavia sappiamo che non è questo il giusto. I neonati che vengono adottati dopo essere abbandonati, sono oggetto di grande lotta tra coppie di genitori adottivi: i bambini disabili, quelli più grandicelli, gli adolescenti, perdono interesse ogni mese in più che crescono. Questo perché il più grande errore che un qualsiasi genitore adottivo può fare è pensare che se adotta un neonato, questi sia più semplice da allevare, quasi che tutta la sua vita prima della nascita possa essere cancellata dall'amore che riceve dopo l'adozione. L' "amore è amore", tuonano i grandi sostenitori dell'utero in affitto e di altre tecniche di concepimento. E invece tanti genitori adottivi sanno, a volte a proprie spese, che non è così: quando un figlio - se pur preso con infinito affetto e, appunto, amore - poi diviene adolescente, comprende che vuole sapere le sue origini quantunque queste siano state troncate al taglio del cordone ombelicale, da neonato. 
Un bambino, quindi, oggetto comunque di un gesto di grande valore come l'affido e l'adozione, non è una cosa neutra, anche se preso ancora "sporco" di vernice caseosa (pasta burrosa che riveste il feto a protezione dell'acqua amniotica), ma è una persona che era tale sia durante la gravidanza (tutta la gravidanza, non gli ultimi mesi), sia nel DNA di cui è corredato: DNA che è l'unione di due gameti che rimarranno per sempre dentro di lui.

Ci hanno provato per anni, ma oramai lo sappiamo bene: quantunque una donna in attesa di un bambino ipoteticamente affetto da patologie, scelga di privarsene perché non lo vuole più (bambino=oggetto che deve essere in un certo modo), non soffre meno più il bambino è piccolo. La donna che opta per rinunciare a un figlio, ne soffre (anche gli abortisti spesso parlano di scelta dolorosa quasi abortire il bambino sia un gesto di altruismo). C'è chi non porta con sé questo peso? Ovviamente, ma a sentire gli esperti, son proprio poche.

Quindi prendere con sé un bambino appena nato perché si pensa, anzi si è certi, che tutto quello che c'è prima della sua nascita non possegga un peso e un valore per il bambino, significa per lo meno paragonare il bambino a un animale (infatti la soppressione per pietà è oramai accettabile per animali e bambini), il che non solo è errato dal punto di vista antropologico, ma pure etologico: numerosi educatori cinofili confermerebbero che un cucciolo di cane tolto troppo presto alla madre, soffre e soffrirà tutta la vita. I vegani che si battono perché al vitello o al puledro non sia tolto il latte materno, portano avanti una battaglia che dimostra il legame tra una madre e il suo cucciolo. 

Torniamo alle madri, però: pensare che si possa cancellare il lungo periodo della gravidanza, è frutto indiretto di una "pedagogia nera" (come la chiamava la Miller) che suppone il fatto che il bambino sia una "tabula rasa", un "barattolo vuoto" da riempire a piacimento. Ecco perché i manuali di pedagogia che critica la Miller sono violenti: non solo per l'uso della violenza in sé (punizioni corporali o astuzie educative per minare la fiducia in se stesso del bambino e rendere l'adulto l'unico soggetto al quale il bambino deve obbedire), ma perché si dà per scontato che il bambino sia bidimensionale (corpo e mente), se non unidimensionale (solo corpo). Invece sappiamo che non è così: e questo ce lo confermano decenni di studi sul legame che c'è tra la madre e il suo nascituro. Legame che è confermato da quei genitori adottivi che non hanno adottato per procurarsi un bambino che desse alla famiglia la felicità (tra l'altro la felicità non è un bene disponibile all'uomo), ma lo hanno fatto per fornire a un bambino che n'era privato, una famiglia. E lo hanno fatto non per dargli felicità, ma per dargli una dignità. 
Il bambino possiede una dignità.

Tale dignità non era affatto riconosciuta nei periodi bui della puericultura che insegnò alle donne che potevano lasciare il loro bambino a chiunque subito dopo la nascita tanto "con il latte artificiale si cresce ugualmente" oppure "l'importante è la qualità del tempo che un genitore passa col figlio". Periodi bui che inculcarono nella mente di tantissime donne che la loro felicità (da trovarsi solo ed esclusivamente fuori dalla famiglia, dalla casa) è più importante di tutto il resto, anche per il bambino stesso. Quante volte le abbiamo sentite, le seguenti frasi: «Per un figlio è importante che la madre sia felice: meglio una madre realizzata e lontana, che una madre triste e ingabbiata, ma vicina», «Avere o meno i genitori separati non è importante perché a un figlio interessa avere genitori felici». Ed ecco la lode verso le donne forti e cazzute che hanno scelto di non allattare, di tornare a lavorare subito dopo la nascita di un figlio che, quindi, diviene solo uno dei tanti eventi della vita. Tanto l'importante è l'amore (teorico) che il genitore possiede per il figlio, affidando questi alla cura (amore=cura) di qualcuno che può sostituirsi alla madre, tanto l'importante è che il bambino riceva cibo, attenzione, educazione ("fai questo, non fare quello") e beni materiali. Che madri sono state queste donne? Mi pare ovvio dirlo, ma chiunque sia nato dagli anni '60 in poi lo sa: assenti, distratte dalla loro vita, egoiste. 
Allattare non serve solo per nutrire un neonato (un cucciolo), ma come sanno bene gli etologi, i veterinari e i vegani, il colostro (che negli anni '70 era quasi sconsigliato se non giudicato non giusto per un neonato) è fondamentale anche perché la mamma che sta con il cucciolo. Lo stare col bambino è necessario per la mamma, ma è fondamentale per il bambino: oramai questo non solo lo sappiamo perché abbiamo tutti gli studi sull'attaccamento, ma perché abbiamo tutti gli studi sulle conseguenze dell'attaccamento sulla vita sessuale dell'individuo. Non è un caso che la madre che torna a lavorare subito dopo la nascita del figlio, abbandonando questi alle cure di altri adulti (caregiver=fornitori di cure), sia spesso plaudita dal figlio stesso che dà all'egoismo della madre un connotato estremamente positivo che va a confermare le proprie scelte di vita, spesso egoiste parimenti.

Le spese di queste madri che lo sono diventate dagli anni '60 (e '70-'80) sono pesanti: i bambini, oggetto d'interesse per la politica, la scienza, la sociologia, la psicologia, sono stati usati al bisogno. Bisogno anche di essere soppressi proprio per la necessità che la madre possiede in un dato momento della sua vita, di averlo o meno. Così in un rapporto occasionale può essere concepito un figlio indesiderato che la donna ha il diritto di sopprimere e che l'uomo, parimenti, ha il diritto di far sopprimere. Che persino la politica ha il diritto di far sopprimere per fornire una giustizia unidirezionale, monocromatica e avaloriale solo a una determinata parte della popolazione (gli uomini irresponsabili e le donne che pensano di essere libere).

Le madri degli uomini e delle donne che optano per acquistare i mezzi per possedere un figlio, sono state delle non-madri. Delle genitrici che hanno trasmesso ai figli la portata del diritto delle loro scelte a discapito del bene verso l'altro, usato solo per ricevere del bene. Ovvero la tanto agognata "felicità". Un cucciolo di cane sarà la felicità del bambino viziato, essendo stato acquistato da genitori che non si fanno remore a procurarsi un essere vivente per i propri scopi (confondendo l'essere educatori, con l'essere fornitori di materiale che compiaccia la prole e attraverso cui ingraziarsi il bene della prole medesima), il medesimo cane sarà oggetto d'abbandono appena sarà adulto, magari malato, sicuramente anziano. Proprio negli anni '80 nacquero le prime campagne contro lo sfruttamento degli animali per la vivisezione, per l'alimentazione, per procurarsi le pellicce, per la felicità momentanea del bambino: guarda caso, però, in pochi hanno poi sollevato le medesime obiezioni verso embrioni congelati, testati e gettati, verso bambini trappati a pezzi con le pinze e gettati via perché non desiderati o concepiti in circostanze non ideali (per esempio lo stupro), o anche verso nascituri ritenuti non idonei e lasciati morire di fame nel ventre materno e poi partoriti. Quindi i figli di quelle madri egoiste che magari hanno fatto lotte animaliste, sono stati abituati al rispetto verso le bestie, ma non verso la persona bambino. Egoisti come le madri, se non peggio.

Le categorie di persone che si battono in favore dell'allattamento ma non contro l'aborto, sono le medesime che trattano la donna che vende l'utero come se costei si autodeterminasse: ciò sta a significare che i soggetti delle lotte per l'allattamento non sono i bambini, ma le donne stesse. Donne che possono vendere la creatura concepita nel loro ventre perché questa non è un soggetto, ma un oggetto. L'adultocentrismo, condannato da moltissimi esperti, Miller inclusa, si nasconde anche dietro gesti compiuti "per il bene del bambino": dalle botte all'aborto, dall'aborto 'terapeutico' ossia eugenetico all'applicazione di metodi educativi che danno per scontato che il bambino sia "tabula rasa". La Miller stessa afferma che «Fin'ora la società proteggeva gli adulti e colpevolizzava le vittime. Nel suo accecamento, essa si appoggiava a teorie che, corrispondendo ancora interamente al modello educativo dei nostri nonni, vedevano nel bambino una creatura astuta, un essere dominato da impulsi malvagi, che racconta storie non vere e critica i poveri genitori innocenti, oppure li desidera sessualmente. In realtà, invece, non v’è bambino che non sia pronto ad addossarsi lui stesso la colpa della crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da loro, che egli continua pur sempre ad amare, ogni responsabilità.
Solo da alcuni anni, grazie all’impiego di nuovi metodi terapeutici, si può dimostrare che le esperienze traumatiche rimosse nell’infanzia vengono immagazzinate nella memoria corporea e che esse, rimaste a livello inconscio, continuano a esercitare la loro influenza sulla vita dell’individuo ormai adulto. I rilevamenti elettronici compiuti sul feto hanno inoltre rivelato una realtà che fimora non era stata percepita dalla maggior parte degli adulti: e cioè che sin dai primi attimi di vita il bambino è in grado di recepire e di apprendere atteggiamenti sia di tenerezza che di crudeltà.»

Nel momento in cui si comprenderà che il feto non possiede colpa alcuna nell'essere stato concepito perché possiede una dignità da quel momento sino alla sua morte naturale, si spera sempre in età adulta, si saprà che nessun bambino è un oggetto che porta felicità o disperazione, ma un soggetto che possiede il diritto alla serenità. Implementare l'allattamento materno e il diritto del bambino allo stare con la propria madre, all'essere allevato come persona che possiede dignità, preserva le generazioni future dal desiderio di usare gli esseri umani inermi per i propri scopi, avendo maturato - nel rispetto verso se stessi - il rispetto dell'altro.



PS: laddove c'è scritto "figlio", è ovvio che si tratti anche del sesso femminile.

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