Cara Ministro Bonetti,
Le scrivo perché sono mamma e conosco bene le mamme.
C'è un'immensa ricchezza che ogni donna possiede dentro di sé: la possibilità di essere madre. Esserlo risponde a un fisiologico istinto che da sempre fa parte dell'essere umano di sesso femminile. Il nostro cervello è biologicamente preparato a rispondere al bisogno di altre creature di essere curate. Quando ci prendiamo cura di un piccolo essere umano, da noi nato o a noi affidato, sappiamo davvero come comportarci: certo, fa molto comodo, alla cronaca, diffondere tristi notizie su madri immonde e non degne d'essere chiamate con tale appellativo, perché sminuisce l'immagine mentale che ognuno possiede quando pensa alla parola "Mamma". C'è un sottile gioco d’interessi dietro la diffusione – se pur doverosa – di notizie che narrano fatti che rendono l’opinione pubblica stomacata nei confronti della figura femminile in veste di madre. Il gioco è chiaro: se io parlo male del ruolo più puro che rimanda a ognuno di noi a chi ci ha messo al mondo e curato, creo inesorabilmente un’opinione distorta nei confronti di chi, per calzare quel ruolo, ha sacrificato e lottato e preteso diritti. Sarebbe opportuno anche diffondere notizie che ritraggono madri meravigliose che amano i loro figli, ma questo non fa comodo, purtroppo. Sì: essere donne madri, oggigiorno, è un diritto non contemplato dalle “pari opportunità”, che combattono perché le donne abbiano il medesimo trattamento dell’uomo nel mondo del lavoro (giustamente), ma non tenendo conto di un fattore molto pesante: la donna, fino a prova contraria, non è un uomo. Ogni cellula del corpo della donna, quando questa diviene madre, nasce a nuova vita ed è come se acquisisse quelli che per l’uomo sono poteri (infatti si parla di acquisizione di forza, di potenzialità, ovvero empowerment) artificiosi, ma per lei no perché fanno parte di lei li sprigiona con una forza immensa e un’energia impensabile, divenendo la normalità: la gravidanza, il parto, la cura del neonato, il prendersene cura infinitamente e per sempre. Essere madri, infatti, è fisiologico e risponde a una norma biologica. Ovviamente a quest’ultima si contrappone sempre la cosiddetta norma culturale, ovvero quella che la cultura della società nella quale la donna vive, tenta di imporre. E qui le ‘pari opportunità’ crollano: perché nell’essere madre e nell’essere padre, non c’è nulla di simile. Pure i presupposti di accudimento sono differenti. Un semplice esempio, Ministro: prenda un neonato appena partorito, bianchiccio di vernice caseosa e ancora stroppicciato dal passaggio dal canale del parto (alias vagina). Se lo toglie dalla madre, piangerà. Se lo dà alla madre, si quieta. Se lo dà al padre, si guarderanno. Il compito del padre, in quel momento, diviene quello di sopperire, da lì a diverso tempo, a tutte le necessità della sua famiglia, diviene quello di difendere quella diade magica che si è creata: madre e bambino, esseri simbiotici, si dovranno unire tornando a essere quasi un corpo solo per almeno un anno. Endogestazione ed esogestazione (- 9 mesi prima, + 12 mesi dopo la nascita) sono fondamentali per la struttura psichica, emotiva, relazionale e fisica del futuro adulto. Si vuole che il bambino sia sano? Si permetta al bambino di godere della propria madre, alla madre di acquisire certezza nel fatto di essere capace di farlo (processo lentissimo e delicato che talvolta ha bisogno di supporto ed è per questo che le ostetriche ci sono), al padre di poter mantenere la sua famiglia, di prendersene cura al meglio. Essere madri è un diritto con dentro un altro diritto: quello dei figli di avere madri che se ne prendono cura. Essere padri è completamente diverso: è la protezione, la possibilità di non far mancare nulla alla famiglia.
Contemporaneamente al diritto di essere donna lavoratrice, la donna deve poter anche essere madre: altrimenti il motore della natalità finirà per spengnersi per sempre.