Lila Rose vuole amare entrambi: Love Them Both è, infatti, uno dei suoi slogan. Ed è quello giusto perché definisce un concetto chiaro: le vittime dell'ideologia abortista sono due, il bambino che viene eliminato e sua madre. Ci sono due parole da dire ai pro-vita: la prima parola è "attenzione", la seconda è "compassione".
"Attenzione" perché la lotta per il diritto alla vita deve andare verso una sola direzione, ovvero quello della vita di entrambi: bambino, ovviamente, e mamma. Mi soffermo su quello che diverse volte leggo su social network quando ci sono post che parlano di aborto: le reazioni dei pro-vita sono sempre diverse. C'è chi prova pietà per un gesto di assoluta efferatezza compiuto da una donna illusa, e c'è chi - spesso tirando in ballo il Padreterno (che magari sa da solo cosa deve fare, verso chi riporre il suo perdono) - compie affermazioni atte a screditare la donna: «Avrebbe potuto darlo in adozione!!», per esempio, o il sempreverde «Assassine!!».
È vero. Avrebbe potuto darlo in adozione. Avrebbe potuto scappare di casa. Avrebbe potuto rivolgersi a un CAV. Avrebbe potuto non abortire... Non è semplice capire cosa c'è dietro. Non lo capiscono i pro-vita e non lo sanno neppure i pro-morte che si definiscono pro-scelta, ma che non hanno idea anch'essi di cosa ci può essere dietro una donna che vuole abortire.
Dietro quella donna può celarsi una violenza e un modo per proteggere un figlio che non sarebbe amato. Può celarsi un modo per non incrinare un matrimonio. Può celarsi un modo per non deludere i genitori. Può celarsi un modo per evitare un guaio sul lavoro. Può celarsi una diseducazione affettiva e sessuale... che ne sappiamo? Dove sta la scelta di tante donne che - sfruttando la possibilità di farlo e il fatto che verso l'aborto ci sia un consenso ampissimo da parte degli operatori sanitari - sanno perfettamente cosa vanno a compiere eppure si sentono obbligate perché sentono di non avere scelta?
Il fatto di definirsi pro-"scelta" è una bugia colossale: dov'è la scelta di tantissime donne nel far sopprimere o meno il proprio figlio? Non ce l'hanno, semplicemente. In alcune situazioni non c'è un grammo di libertà che presuppone la cosiddetta "scelta". Ovvio che se una donna sa di potersi smarcare da una gravidanza indesiderata, scelga la strada più breve e anche i benedetti 7 giorni di riflessione sembrano secoli. La sceglie sì, ma è così colpa sua? Davvero si pensa che quell'opzione, quell'unica strada stretta, buia e in salita, sia "libera"? Non lo credono, a mio modesto avviso, neppure i pro-"scelta"... Il fatto è uno solo: l'unica soluzione che dà a qualunque problema la medicina di Stato è la soppressione del figlio.
Se i pro-scelta fossero dell'opinione che un'altra via all'aborto c'è, non ci sarebbe l'ostracismo verso la diffusione del numero di donne che si suicidano dopo aver abortito (entro 365 giorni), non ci sarebbe un muro verso la creazione di ambulatori psichiatrici ufficiali per l'elaborazione del post-aborto, non ci sarebbe un mainstream sempre pronto a nascondere l'immensa sofferenza delle donne che hanno abortito volontariamente (quanto di volontario ed intenzionale c'è, effettivamente, se la donna è costretta a pensare che sia l'unica via d'uscita?), non ci sarebbero dei consensi informati nei quali si enumerano le potenziali patologie fisiche dopo l'intervento o dopo l'utilizzo della RU486, ma giammai si parli di depressione, ideazione suicidaria, melanconia e altro.
Ci sarebbe sincerità: «Quello che si va a sopprimere è un essere umano». Basterebbe la verità: allo Stato medicalizzato e intriso di una cultura economica basata sulla competitività e la produttività, non interessa aiutare l'emancipazione della donna. Preferisce cucinarla con ignoranza mischiata a sessualizzazione, condendola con abbondanza di farmaci (bisogna pur vendere) e con una buona spolverata d'ideologia. La ciliegina sulla torta la danno adultescenza e giovanilismo cosicché la donna possa non pensare, non crescere, non vedere e, soprattutto, non sentirsi.
Il castello di carte dietro la famosa libertà di scelta crolla con un soffio e crollerà solo quando i pro-vita saranno certi del fatto che si debba salvare la donna con suo figlio. Crollerà quando un politico che non teme la perdita di voti dirà che la legge per l'aborto è ingiusta, iniqua e discriminatoria: crea esseri umani di serie A (desiderati, sani) e di serie B (indesiderati e/o malati).
«Eh - mi si potrebbe dire - ma ci sono donne che usano l'aborto come anticoncezionale» è vero, lo so benissimo. E dov'è quell'omuncolo la cui virilità è del tutto inesistente, che approfitta del fatto che un figlio venga soppresso per non dover utilizzare un preservativo? E dov'è - mi si perdoni la franchezza - quel genitore che non fa la sua parte nell'educare alla preziosità di qualunque vita e alla dignità di ogni essere umano? E dove sono gli operatori sanitari che sono tanto favorevoli all'empowerment (consapevolezza) quando queste donne si recano a chiedere di abortire per la terza, la sesta, la decima volta? Il loro ruolo dovrebbe essere quello di affrontare queste donne, convocare quei viscidi omuncoli da loro eletti a compagni (anche solo di una notte) e dar loro una lezione di vita, di adultità. E invece no: si preferisce guardare altrove, sopprimendo chi non ha voce. Possibile che solo le donne che scelgono di non abortire bambini fragili (considerati malformati, imperfetti e neppure umani dai medesimi operatori sanitari) si trovano di fronte medici, ostetriche e infermiere duri, aggressivi, manipolatori, che le accusano di egoismo o di leggerezza nel proseguire la gravidanza?
Facile fare la voce grossa con chi piange perchè è innamorata di quel figlio piccolo e delicato, che non ha altra speranza che nascere e lasciarsi amare. Se invece viene mammina con sedicenne gravida, ci si fa piccini piccini e si consegna la RU486: mica si prende mammina e la si richiama pesantemente sulla sua inadempienza educativa. Quello giammai. Ci si libera delle creature innocenti (la sedicenne e il bambino nel suo grembo) e si salva la vita e la reputazione di mammina. Giusto?
È da considerarsi empowerment quello di garantire a una madre assente dal punto di vista educativo, che la figlioletta potrà abortire prima dell'ora di geografia? È solo colpa di una donna, quando non è resa consapevole veramente di quello che andrà a compiere abortendo? Usare il termine "Interruzione della gravidanza" ha reso sterile tutto il percorso: troppo comodo, troppo facile.
Dove sono gli operatori sanitari che scompaiono quando c'è una donna che vorrebbe acquisire i metodi naturali, ma i medici non ne sanno nulla? Oppure una donna che vorrebbe una "manovra esterna di rivolgimento" per evitare un cesareo? O una mamma che vorrebbe rimandare un'induzione perché sa che il suo bambino ha bisogno ancora di stare nel suo ventre o vorrebbe partorire a casa ma non può perché è costoso? O una mamma che vorrebbe un VBAC (parto dopo cesareo) o vorrebbe non subire trattamenti degradanti quando partorisce? O una madre che vorrebbe allattare ma incontra solo personale che non sa nulla sull'argomento?
Si tenga ben chiaro un concetto: la medicalizzazione è una sola e si basa sulla consapevole ignoranza del personale sanitario e sulla possibilità economica dello Stato che ha inglobato i cittadini nella produttività: hai valore se entri nel meccanismo economico, altrimenti sei fuori.
Qualunque operatore sanitario che si batte perchè la donna possa ricevere un trattamento umano al momento della nascita manifesti sostegno verso l'interruzione della gravidanza, non ha a cuore il bambino né sua madre. Si salvano i bembini E le madri.
Nei casi elencati poco sopra, le donne non trovano appoggio alcuno, ma trovano spesso pareri contrastanti o operatori disinformati che, pur di tutelarsi, negano trattamenti professionali. Sono i medesimi, oltretutto, che inducono le donne ad abortire quando temono di non saper diagnosticare malformazioni... Quando le donne chiedono di abortire per la decima volta, lì sì che gli operatori smettono di affrontare le donne e le accontentano, creando un costante sfruttamento della possibilità che per legge le donne possiedono, di abortire i loro figli. Di fronte al timore di scontrarsi con situazioni create da una cultura diseducata (l'avere accanto un uomo che non vuole usare il preservativo e preferisce mandare la donna ad abortire è molto contorto), l'operatore caccia la testa sotto la sabbia e firma qualunque foglio. Di chi è la colpa di quel morto e di quel ferito (il bambino e sua madre)?
La sola colpa delle donne che usano l'aborto come anticoncezionale sta in chi gliel'ha fatto usare come tale. La legge è chiara: non c'è alcun diritto all'aborto, c'è solo la possibilità (= "Il fatto di esser possibile, la caratteristica di ciò che può esistere, realizzarsi, avvenire". Treccani). L'operatore santario che ha fornito questa possibilità, ha dato un coltello in mano all'omuncolo stolto e alle donne stesse. Il guaio di chi scrive che le donne «Avrebbero potuto non farlo» è non comprende che quelle donne sono vittime di un sistema malato.
Invece diversi operatori preferiscono ovviare a questo e, autoeleggendosi salvatori del mondo, applicano al prossimo un principio base: siccome un embrione lo si distrugge facilmente perchè è piccinino e privo di diritti, si applica il principio darwiniano del "vinca il più forte" ovvero l'idea dell'operatore stesso.