martedì 9 novembre 2021

Un surrogato di ostetriche

Dal vocabolario: "surrogato" = quello che sostituisce un'altra cosa, spesso in modo incompleto o imperfetto.


Se non ci fossero le ostetriche, non nascerebbero bambini con maternità surrogata. Certo, però - mi si potrebbe dire - verrebbero attuati solo interventi di taglio cesareo che abbisognano di un chirurgo, un anestesista e un paio di infermieri (uno che strumenta e l'altro che si occupa del neonato). 
E dici nulla?
Intanto, però, si darebbe un segnale morale.

La morale, quella che le ostetriche non sembrano mostrare da quando esiste la materità surrogata, dove la donna è libera di vendere l'essere umano che ha maturato durante la gestazione, come se fosse un oggetto. Sì perché oggi vorrei dire due parole proprio a carico della donna che cede il figlio. Talvolta si usa dire che la poverina è sfruttata: vero per il cosiddetto terzo mondo, ma per l'occidente? Il progressissimo occidente che ha optato per cancellare ogni tipo di legame biologico con la madre come se quella relazione fosse acqua fresca?
Mi si potrebbe rispondere che, affermando l'esistenza di un legame biologico che pare indistruttibile, nego l'esistenza di una possibile costruzione di un legame di attaccamento tra un bambino e la madre adottiva (o affidataria o spirituale). Nessuno più di me è certo che l'adozione sia un gesto pulito e onesto che deve muovere una famiglia a darsi a un bambino che n'è stato privato (un "grazie" enorme va alle madri che non abortiscono, nonostante sappiano che non terranno quel bambino, affidando questi piccoli all'amore di persone che responsabilmente alleveranno loro). L'amore, infatti, è un dono: che questo sia chiaro. Già con Valentina Muraglie parlammo dell'adozione, e darsi affinché un figlio - che possiede un legame biologico indistruttibile con chi l'ha generato (madre e padre) - possa ricevere una vita familiare stabile che possa alleviare tutta la sua sofferenza, è un gesto di estrema unicità e forza.
Se la madre che opta per portare a termine una gravidanza indesiderata, compie un gesto di altruismo nei confroti del figlio (sapendo, quindi, ch'egli è un figlio del quale ha responsabilità), la madre che sceglie di usare il suo corpo per consegnare ad altri il proprio figlio, non comprende la portata di quel gesto. Io spero sempre che quelle donne - che razionalmente tentano di scollegare il legame col figlio - siano talmente gonfie d'ideologia da non comprendere a fondo cosa stanno facendo, ma certo è che tutte le altre donne che le assistono (a partire dalle fagocitanti psicologhe - assoldate proprio per convincere la donna a staccarsi da quella creatura - e dalle petalose ostetriche - dedite all'assistenza più rispettosa e delicata che può avvenire in casa, anche quando poi il neonato viene ceduto come un cucciolo di cane), non fanno il bene né dei nascituri (ai quali viene negato il contatto con la madre anche solo per quanto attiene il nutrimento: chissà dove finiscono le lotte per l'allattamento materno), né delle madri stesse (che avrebbero il diritto di ricevere un bel bagno di responsabilizzazione verso il proprio figlio). 
Nulla da stupirsi, laddove mandrie di ostetriche e ginecologhe, stanno dalla parte della non responsabilizzazione delle donne quando consigliano di abortire come se fosse acqua fresca. Nulla da sorprendersi quando greggi di ostetriche e ginecologhe - sostenute da improvvide psicologhe - inculcano concetti pseudofemministi sul diritto di compiere qualsiasi scelta sul proprio corpo che toccano l'auto-abuso di se stesse e lo stupro del proprio intimo pudore, sino alla svendita della propria anima per il mero "diritto al diritto". Nulla da sbigottirsi, quando mute di ostetriche e ginecoloche -certamente aiutate da ideologizzate psicologhe -, si recano nelle scuole per educare le giovani donne allo sfruttamento del loro apparato genitale attraverso qualche indicazione per evitare gravidanze e malattie sessuali, ed educano i giovani uomini allo stupro delle compagne delle quali dovrebbero avere rispetto e istinto di protezione.
Nessuno stupore se vi sono ostetriche che si rendono disponibili ad assistere romanticamente a nascite di esseri umani la cui colpa è solo quella di essere oggetti necessari per adulti bisognosi d'affetto. Per costoro, la donna che cede il figlio, è in possesso del diritto di farlo. Parimenti a coloro che abortiscono, gonfie di una libertà che non possiedono (ma infatti nessuna di quelle ostetriche e ginecologhe e psicologhe poi si occupa delle donne che, dopo aver abortito, soffre magari sino a uccidersi: queste ultime sono certamente donne con un passato di depressione che magari si sarebbero tolte di mezzo anche senza aver abortito, non valgono l'energia ideologica delle operatrici sanitarie).

Molto strano il fatto che, a un mio post su fb, le reazioni siano state talvolta quelle di non comprendere che il mio discorso non riguarda le madri adottive. Scrivo infatti: 

«Quando delle donne applaudono al fatto che un bambino cresca con genitori che hanno avuto il diritto di acquisirlo con qualunque mezzo, significa che hanno perduto il senso della loro preziosa unicità, del loro dovere di donne, del fatto che un bambino ha diritto ad essere allevato in seno a una famiglia che gli dia equilibrio e nella quale si sia consapevoli del fatto ch'egli non è il diritto di qualcuno. Se le donne non promuovono l'immensa unicità della Mammitudine e del ruolo culturale della Maternità, significa che i bambini sono - definitivamente - oggetti. Significa che non sanno (più) quanto valgono e quanto sono necessarie. Vuol dire che la società ha fatto loro il lavaggio del cervello.

Allora il re ordinò: “Prendetemi una spada!”. Portarono una spada alla presenza del re.
Quindi il re aggiunse: “Tagliate in due il figlio vivo e datene una metà all’una e una metà all’altra”.
La madre del bimbo vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per il suo figlio, e disse: “Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!”. L’altra disse: “Non sia né mio né tuo; dividetelo in due!”.
Presa la parola, il re disse: “Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre”»
Per me era chiaro che il discorso si rivolgeva alle due donne delle quali ho denunciato qui: sia la donna che suppone di non avere un ruolo fondamentale nella vita del figlio concepito, sia la donna che toglie quel figlio concepito nel ventre di sua madre, per cederlo ad altri che ne hanno acquistato i diritti. 
Il fatto che esistano entrambe le figure, significa, come ho scritto, che la donna - dopo anni di pseudofemminismo e di parità di genere - si è appiattita al non avere un ruolo fondamentale nei confronti del prossimo piccolo e fragile, vuole dire che è stata riempita di una cultura che ha snaturato il ruolo della madre e il legame che nasce tra madre e bambino: ovvero quello che io chiamo Mammitudine.
Tale relazione - la Mammitudine appunto - non possiede un particolare presupposto (ad esempio quello che sia biologico, che però non può essere negato), ma certamente prevede il fatto che la madre protegga il figlio, donandogli la vita. Sacrificandosi, appunto. Ossia "rendendo sacro" la Mammitudine stessa. 

Spero di aver chiarito che, per quanto attiene le mie convinzioni, la Mammitudine non ha residenza solo biologica, esistendo - per grazia di Dio e, aggiungerei, volontà della cultura - l'adozione, l'affidamento e il legame spirituale. 

Quelle che esistono sono le ostetrche surrogate, ovvero delle ostetriche imperfette.

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