lunedì 21 novembre 2022

Cancellate le donne e gli uomini, cancellate i sessi

La convulsa petalosità dell'Agenda 2030 che viene propinata ai bambini a ogni pié sospinto, è densa di obiettivi che possano rendere i cittadini cosmopoliti del futuro scimmiette ammaestrate del pensiero unico atrofizzato. Elisabetta Frezza, mamma e giurista, denuncia infatti: «L’obiettivo dell’ONU è quello di creare cittadini globali, liquidi, anzi gassosi, e di 'fare del sistema di istruzione uno dei principali agenti di cambiamento per gli obiettivi dell’Agenda 2030' in un’ottica di LifeLongLearning (cioè apprendimento permanente, cioè treeLLLe). La nuova educazione civica risponde proprio a questo richiamo. [...] Il sistema vuole adesso che l’alunno diventi anche un paziente clinico sotto osservazione permanente dei funzionari della sanità, alleati con le autorità scolastiche. Lo stato di salute dello scolaro è affidato alle strutture preposte, che vestono la divisa dell’'esperto', prima e magari in sostituzione della famiglia, la quale rischia di essere posposta o esautorata per presunte esigenze di salute pubblica, o per il miglior interesse (best interest) del minore stesso».


Al netto del fatto che la maggior parte dei genitori è composta da persone abbastanza intelligenti, le questioni sono - a mio modesto avviso - un paio: la prima riguarda l'abitudine alla delega verso l'esperto: tipico atteggiamento genitoriale nato e cresciuto con il timore di sbagliare coi propri figli e/o con l'idea che il genitore stesso debba concentrarsi sulla propria vita personale (talvolta obbligatoriamente poiché non si vive con uno stipendio e poiché è necessario che mamma lavori concentrandosi su quello che di materiale è suggerito come necessario fornire ai figli), tale genitorialità è tesa a privarsi del compito di educare direttamente i propri figli, sapendo che ci sono persone più esperte - appunto - che sono chiamate a farlo (pubblicamente chi si oppone a tale obbligo, è marchiato con attribuzioni di medioevalismo e/o bigottismo eccetera). La seconda riguarda - molto banalmente - le mode: fornire il cellulare senza uno spirito critico vuole dire consegnare i figli a ogni capriccio ideologico che nasce ogni giorno nel mondo della cultura occidentale. In qualunque modo la si veda, i figli non sono un dono per il quale impegnarsi in prima persona fornendo loro un'educazione personale e costruita su tradizioni e propria cultura: i figli sono da recapitare a un mainstream globale che li sfrutterà per perpetrare una cultura che verrà portata avanti costi quel che costi (non dimentichiamoci né che esistono bambine lasciate morire di stenti da madri che si affrettano a pubblicare le loro foto su facebook, né che ogni giorno centinaia di bambini e bambine pretendono di farsi mutilare con l'illusione che si può cambiare genere, né che i tassi di suicidio di bambini, ragazzini e adolescenti, sono ben oltre il livello di guardia, né che esistono 19 milioni i bimbi europei vittime di abusi sessuali di ogni tipo).

Analizziamo alcuni filmati:
La poverina è una atroce vittima della disinformazione: oltre che in piena crisi autoalimentata e autosuggestionata (ella piange perché qualcuno le ha detto che la sua libertà sarà limitata dalla non approvazione di una legge, la Zan: questo significa che lei "segue" da anni i cosiddetti infuencer che divulgano disinformazione sull'argomento), la ragazzina che dice di far parte di una comunità dall'età di 9 anni, non essendosi accorta - molto banalmente - che se non avesse il cellulare attraverso il quale farsi lavare il cervello da adulti molto furbi, lei sarebbe una normale sedicenne. Questo mi dispiace assai poiché so che la percentuale di ragazzine e ragazzini che invece di studiare Dante e l'area del triangolo, si rompe la testa dietro a queste baggianate perdendo un sacco di tempo, è molto alta (una giovanissma amica 18 anni appena fatti - mi racconta che il suo liceo è pieno di queste persone confuse e sofferenti). Purtroppo poi si destano quando non hanno più le mammelle o il pene, quando il loro corpo è mutilato da chirurghi conniventi, indottrinati da psicologi e psichiatri asserviti all'ideologia (e probabilmente alla pedofilia). Infatti ecco qui cosa accade quando poi si destano dal torpore: 


La domanda è: e i genitori? Semplice: vittime dell'abitudine di ascoltare gli "esperti" (che non ci ricordiamo mai che possono ricevere sponsorizzazioni da chi promuove farmaci o, molto semplicemente, possono essere meri convinti esecutori) e mai i bisogni dei figli, non sanno relazionarsi con loro per il semplice fatto che sin dal concepimento, la relazione mamma-figlio, prima, e genitori-figlio, dopo, è contrastata da chi infuoca la separazione fisica e psicologica dei componenti familiari: dal «Non tenerlo in braccio altrimenti si vizia» sino alla promozione dell'Educazione Civica sui banchi di scuola, sino ai corsi di educazione sessuale (o all'affettività): tutto contribuisce a far sì che i genitori non stiano coi figli. Ecco che questi, i cui bisogni di affetto, contatto, ascolto, relazione, risulta troncato e abortito, crescono insicuri alla ricerca di qualcosa che li faccia star bene: qualcosa di materiale o di trascendentale, ma che risolva il loro dolore e la loro solitudine. Quindi ecco la soluzione: sedicenti psicologi e medici che indottrinano genitori e figli, motivando le scelte con la minaccia che i figli si facciano del male. 

E infatti eccole le minacce (video molto importante da seguire tutto). Grazie a Genitori De-Gender.



Ecco quindi che dovremmo cominciare a comprendere che educare i figli non significa addomesticarli e abituarli alla solitudine. Si inizia subito, se la gravidanza è inattesa. Il metodo del ricatto è già lì, in attesa: «Se vuoi bene a tuo figlio, non puoi permetterti di crescerlo da sola, lui ha diritto alla felicità. Non è un bambino, è una probabilità di vita. Non lo vivere come un lutto, perché non lo è: è una scelta consapevole». E la donna ci casca, tanto dopo l'aborto volontario gli operatori non sono lì a casa con la donna (e spesso il compagno): si deve abituare. Si prosegue in gravidanza, sottoponendo la donna e il padre del nascituro ai controlli sulla salute del bambino. Che tanto controlli non sono se prevedono l'opzione eugenetica (se non giungono già prima del concepimento, ovviamente). La si abbandona a scelte di ordine morale molto pesanti, pressandola perché interrompa la gravidanza se il bambino appare non sano. Come? Col ricatto: «Se vuoi bene a tuo figlio... Non vuoi mica che soffra, vero?». E la madre corre a partorire (= abortire una persona talvolta viva che se fosse sana verrebbe salvata dall'equipe neonatologica) un bimbo malato che magari chiede solo di essere amato sino alla sua fine naturale. Si prosegue con la nascita: la donna è spessissimo abbandonata in tre circostanze: durante il travaglio, durante la nascita, nel puerperio. La violenza ostetrica è imperante e devastante tanto da ridurre il desiderio di maternità. Se va bene la donna ce la fa a sopravvivere al puerperio, ma è abbandonata da un'idea di maternità che prevede la sua solitudine («Hai voluto la bicicletta?») e quella del figlioletto («Deve addormentarsi da solo. Deve dormire da solo. Deve giocare da solo. Deve arrangiarsi»). Se poi la donna torna a lavorare è abbandonata a un mondo del lavoro che la mette in condizione di relegare la sua maternità a uno status privato: nel pubblico lei deve essere assolutamente priva di segnali di avere una vita differente da quella di qualsiasi donna. Così il figlioletto cresce: se va bene con le nonne, se va abbastanza bene con una tata, se va bene all'asilo nido, se va male in un asilo nido aperto 12 ore dove egli impara che c'è mamma (da qualche parte, nel suo cuore), ma che lui deve arrangiarsi e risolvere la mancanza di mamma. E via via crescendo. Tra separazioni genitoriali e adattamenti con altri bambini figli di nuovi partner dei genitori, fratellastri eccetera. Poi, un bel giorno, eccolo: il cellulare. Che, come un lievito madre (nel vero senso del termine) nutre, gonfia, fa crescere i bambini... 

La soluzione dovrebbe esserci: sarebbe quella di stare coi figli, accompagnandoli, ascoltandoli, nutrendoli con la presenza di mamma e papà. E chissene importa se una bambina di tre anni vuole il pigiama di SpiderMan; chissene importa se un bambino abbiglia le bambole; chissene importa se una bambina odia i capelli lunghi perché lei vuole giocare a calcio e basket; chissene importa se un bambino apprezza le lezioni di pianoforte. E che significa se una persona è timida? E perché è costretta a farsi bullizzare a scuola perché non sopporta l'ambiente sessualmente esplicito dei corridoi scolastici (una grande mano la danno i docenti che si bullizzano tra loro, figuriamoci se non bullizzano i bambini)? No: una femmina non è femmina perché va in giro con l'ombelico di fuori e i pantaloni a vita bassa. Un maschio non è maschio perché gli piace picchiarsi. E se c'è una femmina che gioca a calcio e non sopporta le gonne, non vuole dire che vorrebbe essere maschio. 

E nella solitudine immensa dei bambini e dei ragazzi nelle loro camere, nelle loro case vuote perché mamma e papà lavorano, queste piccole persone sono costrette a rivolgersi ad altro per stare bene, per sentirsi adeguate, accettate, amate. E altri adulti ne approfittano.

Togliamo i cellulari dalle mani dei nostri figli. 
Stiamo coi nostri figli.
Ascoltiamo i bambini.

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