Una delle immagini che abbastanza di recente è girata sul web, è
quella di Dexter, bellissimo bambino(ne) nato, pare, con la spirale
della mamma in mano. Foto vera o ritoccata? La cosa ci interessa
relativamente, poichè il ‘succo’, quello che ci riguarda, è un altro.
Le centinaia di pubblicazioni sulla nascita naturale si sono moltiplicate a vista d’occhio: Odent, Leboyer, Gaskin, Robin Lim, Balaskas, Rachana, Buchal, Stadelmann, Ferrari, Wagner, il già citato Braibanti, Schmid, Malvagna, Thoeni, Fraioli, Maghella … quelli che mi sovvengono al momento. Tutte persone formatissime e competenti che ho avuto spesso il pregio di ascoltare direttamente.
Tutte le ostetriche d’Italia hanno letto almeno uno degli autori
sovracitati e non sono poche le ostetriche – che io sappia – che hanno
messo a punto modalità proprie di assistere alla nascita tentando al
meglio di applicare i pregevoli consigli di quegli studiosi.
Quello che mi fa riflettere riguarda tuttavia un dato certo: le donne fanno sempre meno figli. Al
netto del fatto che si moltiplicano le modalità d’assistenza che, anche
dal punto di vista ospedaliero, tentano di privilegiare la spontaneità
dell’evento nascita (pensiamo a quante donne riescono, rispetto a 10
anni fa, a partorire vaginalmente dopo uno o due cesarei – il 12.7%
delle donne nel 2014, a tutt’oggi speriamo di più ** -, ‘riconquistando’
la propria fiducia in sé*) e che provano a sostenere l’allattamento
sino ai primi 6 mesi di vita (ancora spesso difficoltoso grazie
all’ingegnoso lavoro delle ditte prorduttrici di sostituti del latte
materno), diminuiscono i bambini da far “Nascere senza violenza” e da nutrire tramite “L’Arte dell’Allattamento Materno”.Cosa sta scattando nella mente delle donne? Pare realmente, infatti, che le donne pretendano – e se vogliamo, a ragion veduta – di partorire bene anche e soprattutto poichè la maggior parte di loro lo farà solo una volta nella vita. E questo è, per la qualità percepita dell’esperienza dell’evento nascita, un po’ un problema: si abbassano drasticamente, infatti, le probabilità di avere, della nascita dell’unico figlio, un ricordo per lo meno decente.
L’età media nella quale le donne mettono al mondo il primo figlio è 31 anni***: questo significa che nel momento di massimo bisogno di sostegno, educazione e rafforzamento dell’autonomia (dai 12 ai 18 anni circa), i figli avranno madri di circa 45 anni,
età nella quale molte famiglie si dividono e aumentano i problemi di
salute dovuti all’età (anche se una donna matura si definisce ‘ragazza’,
rimane quello che è, ovvero semplicemente una donna matura).
Stranamente le giovani donne (quelle dai venti a trent’anni sono il 30% del totale delle donne che partorisce in un anno) – che sono più in salute e quindi rimangono incinte più facilmente, si riprendono meglio dall’esperienza parto/cesareo, hanno più energia e possono dedicarsi alla propria professione acquisendo titoli di studio anche dopo l’arrivo dei figli – incorrono nell’essere sottoposte maggiormente a taglio cesareo: solo il 45% di loro partorisce vaginalmente, contro il 56% delle donne tra i 30 e 40 anni che invece lo fa. La considerazione che le donne giovani siano più adatte a fare figli, lo dimostra il fatto che quando i loro figli vivono l’età dell’adolescenza, hanno potenzialmente l’energia per far fronte alle loro necessità con molta più elasticità (si parla di donne che hanno 35/40 anni circa), ma non solo: se la donna mette al mondo figli in un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, magari arriva anche a farne più di 3 – lo auguro a tutte – e quindi ad avere magari l’ultimo figlio a occhio e croce oltre i 35 anni: costui, però, non sarà il primo e quindi quello che “subìsce” l’inesperienza dei genitori, ma sarà il figlio di una donna che ha già rodato la propria pazienza, la propria capacità genitoriale e la propria famiglia, per non parlare dell’aspetto positivo di avere fratelli maggiori (vedere per credere).
Stranamente le giovani donne (quelle dai venti a trent’anni sono il 30% del totale delle donne che partorisce in un anno) – che sono più in salute e quindi rimangono incinte più facilmente, si riprendono meglio dall’esperienza parto/cesareo, hanno più energia e possono dedicarsi alla propria professione acquisendo titoli di studio anche dopo l’arrivo dei figli – incorrono nell’essere sottoposte maggiormente a taglio cesareo: solo il 45% di loro partorisce vaginalmente, contro il 56% delle donne tra i 30 e 40 anni che invece lo fa. La considerazione che le donne giovani siano più adatte a fare figli, lo dimostra il fatto che quando i loro figli vivono l’età dell’adolescenza, hanno potenzialmente l’energia per far fronte alle loro necessità con molta più elasticità (si parla di donne che hanno 35/40 anni circa), ma non solo: se la donna mette al mondo figli in un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, magari arriva anche a farne più di 3 – lo auguro a tutte – e quindi ad avere magari l’ultimo figlio a occhio e croce oltre i 35 anni: costui, però, non sarà il primo e quindi quello che “subìsce” l’inesperienza dei genitori, ma sarà il figlio di una donna che ha già rodato la propria pazienza, la propria capacità genitoriale e la propria famiglia, per non parlare dell’aspetto positivo di avere fratelli maggiori (vedere per credere).
Ho chiesto a diversi professionisti quale sia, a loro parere, la
causa del fatto che le giovani donne subiscono più cesarei delle madri
più mature e le loro risposte sono molto interessanti. Ricordo che sono
tutti professionisti che da più di 10 anni stanno accanto alle donne in
gravidanza, durante e dopo il parto:
“Sicuramente un valore sta nel fatto che le donne tra i 30 e i 40
anni sono più spesso delle laureate (33% rispetto alle ragazze) e questo
sta a significare che forse la gravidanza è più cercata e ‘ragionata’:
va da sé che magari sono più stimolate a informarsi e contano molto
sulla propria competenza. Le giovani donne, invece,
spesso sole e giudicate inesperte proprio a causa della loro età
(purtroppo una donna di 25 anni è spesso trattata da ragazzina
incoscente), sono più portate a delegare al sanitario e
questo, come si sa, causa un inasprimento di controlli e di non
serenità nell’operatore che lo spinge a operare più facilmente.
L’ignoranza materna è spesso causa di cesareo ingiustificato”.
(Ostetrico)
“Le giovani donne non riscuotono molta fiducia da parte della società: sono ancora stimolate a fare le adolescenti se non le bambine,
figuriamoci se gli operatori dedicano tempo alle ragazze per
trasmettere loro la cultura della nascita che non sia l’acquisto del
corredino. In questo modo le si induce a non credere in loro stesse e
loro si adeguano alla delega verso chi pensano che ne sa di più
(ginecologo prima, pediatra poi): questo comporta un’assunzione di
responsabilità maggiore del sanitario che non vuole assumersela
completamente (non può, non è il suo dovere) e, invece di stimolare la giovane donna a informarsi e a compiere un processo di maturazione personale,
si assume tutto il peso dell’assistenza e interviene (cesareo e formula
artificiale). Quello che ho personalmente notato è che le giovani donne
sventurate sono raramente, ma lo sono, le trentenni che poi hanno una
rivalsa maggiore sulla loro femminilità e riescono, alla loro esperienza
successiva di maternità, a partorire naturalmente ed allattare
benissimo. Non puntare sulle giovani madri è sciocco, perchè si
eviterebbero tagli cesarei o parti operativi e somministrazioni di
formula lattea non necessari“. (Psicologa)
“Una volta le bambine crescevano tra donne che partorivano e, quando toccava a loro, sapevano cosa stava loro accadendo: la maternità era una ‘competenza congenita’ e il positivo di avere figli giovani era scontato.
Oggigiorno le giovani donne sono spesso state figlie uniche, magari di
genitori separati e risposati che non possono aiutare. Forse hanno
traslocato in altre città per studiare e lì sono rimaste. Se poi non
hanno avuto contatti con bambini, spesso il loro neonato è il primo che
vedono in tutta la vita. In ambulatorio le giovani madri sono le più insicure, le più sole,
coloro che mi fanno domande, sui loro bambini, che mi fanno capire
quanta inesperienza possiedono sul fronte ‘infanzia’. Purtroppo sono
anche quelle che più soffrono per il cambiamento di vita che un figlio
porta e forse è quello che le spinge a delegare ad altri (pediatra,
asilo nido…). Purtroppo sono anche coloro che non sono sposate e che
tendono a non affrontare la vita di coppia in modo maturo e
consapevole: si lasciano più facilmente dal compagno e soffrono moltissimo della mancanza di una famiglia.
Le donne in su d’età sembrano essere più tranquille, anche in
gravidanza. Accettano con più serenità i cambiamenti fisici e accettano
il dolore del parto con più arrendevolezza. Probalmente hanno trovato il
loro equilibrio e sono, magari anche se sono sole, più serene”.
(Neonatologa e Pediatra)
“Le giovani sono gestite spesso da madri che non le fanno crescere e maturare da sole: le gestiscono e decidono per loro.
Anche donne di 25 anni sono accompagnate dalle madri alle visite e sono
costoro che mi fanno domande. Io tento di stimolare la giovane, ma pare
essere abituata alla delega. Mi dispiace un sacco quando in sala parto
urlano alle prime contrazioni chiedendo immediatamente l’analgesia e
spesso mi ritrovo le loro madri fuori dalla sala travaglio che mi
ingiungono di ‘fare qualcosa’. A volte ringrazio il fatto che il bambino
viva talmente male il proprio travaglio che sono costretto a eseguire
un cesareo: l’annuncio della mia decisione è spesso un momento di
serenità per le neo-nonne ansiose”. (Ginecologo)
“Personalmente penso che le giovani donne rischino di più il cesareo perchè arrivano a partorire senza consapevolezza:
è solo al momento in cui si rendono conto che sono ‘state ingannate’
(chi è più maturo riconosce che è solo la propria inconsapevolezza a
essere stata l’ingannatrice) e condotte alla nascita del proprio figlio
in modo del tutto ignaro, che ‘scatta’ la voglia di riscatto di loro
stesse. E’ lì che personalmente penso che poi partoriscano meglio,
quando, in effetti, sono più ‘grandi’.”
(Ostetrica)
Quanto vengono considerate potenzialmente inabili alla gestione
della loro vita, le giovani donne? Molto, parrebbero dirci le persone
che ho interpellato. L’incompetenza ‘indotta’, diciamo così,
inizia coi corsi di educazione sessuale scolastici che non mettono in
guardia dalle potenziali infertilità delle malattie sessualmente
trasmesse, ma trasmettono solo il rischio di quelle problematiche di
salute più ‘importanti’ (la fertilità lo è meno, evidentemente), inculcando
per benino il messaggio che la distruzione della vita di una donna sia
in assoluto l’arrivo di un figlio non desiderato facendo capire che un
aborto volontario potrebbe essere davvero quello che può risolvere ‘il
problema’ (quante donne hanno amato da subito figli non
cercati, ma capitati? Quante di noi, ammettiamolo, si è trovata incinta
dopo un ‘momento di follia’? Nel film “Il padre della sposa 2″ il
ginecologo interpellato da una coppia in attesa in su d’età, dice
chiaramente:”Sapete quanti ‘momenti di pazzia’ ho fatto nascere io?
Centinaia!!!”).
Nessuno prepara le giovani donne al fatto che, dal menarca in poi, potrebbero diventare madri:
pare ovvio il fatto che quando ciò accade in giovane età (ritenendo
tale pure i ben maturi 28 anni, età nella quale ho avuto la terza figlia
mentre stavo laureandomi, e non sono l’unica ad esserci riuscita) sia
necessario che la ragazza deleghi a ‘chi ne sa di più’. L’aspetto
interessante della faccenda, che ho potuto constatare personalmente,
riguarda il fatto che le giovani donne se delegano lo fanno verso le
proprie madri (se presenti e attive): costoro, tuttavia, sono vittime di
I° o II° generazione del femminismo (quello della delega al medico e al
pediatra), spesso hanno partorito molto male (racconti di nascite
singole rimaste dei traumi) e non hanno allattato: quali messaggi
positivi possono trasmettere? Non a caso le donne che adesso diventano
nonne, sono quelle verso le quali sono incentrati i consigli alle
neomamme, di testi illuminanti e molto simpatici, come quelli di Giorgia
Cozza, che raccontano di come combattere nonne estremamente ficcanaso
che non fanno altro che parlare di quanto un bambino allattato e cullato
possa essere viziato e di quanto il latte materno possa diventare
acqua, entrambe credenze figlie di un periodo nel quale la donna di
bambini non si intendeva assolutamente, avendo privilegiato se stessa
alla propria generazione successiva. Purtroppo, come a volte accade, le neomamme sono giovani donne sole (laddove
‘sola’ sta anche nella descrizione di quelle donne che hanno dei
compagni parzialmente o del tutto assenti grazie anche alla
diseducazione riceduta dai propri padri), che si lasciano
influenzare molto dai social network e dai mefistofelici giornali
femminili, rimanendo poi molto scottate se la loro maternità non è come
se la aspettavano, il che non accade sostanzialmente mai.
Come ci hanno raccontato brevemente i sanitari alla quale ho
chiesto opinione, vien da sé che una donna giovane affronti una volta
sola la nascita dell’unico figlio, rimanendo traumatizzata o dalla sua
nascita, o dalla vita di genitore (che è stancante nonostante le
trinoline pubblicizzate su “Mammafelice”), o dalla vita di adulta. Mettere al mondo un bambino in qualche modo è possibile, diventare genitore di un figlio è un altro paio di maniche.
E qui torno a riparlare di Dexter. Sua madre aveva nell’utero una
cosiddetta ‘spirale’ (che poi è una ‘T’): cresciuta nell’epoca della
‘contraccezione sempre e comunque’, ‘meglio una gravidanza extrauterina
che un bambino’, ‘la spirale è solo un contraccettivo d’emergenza’, ci
deve essere rimasta di sasso quando ha saputo che le sue
precauzioni sono valse a poco in confronto alla forza che può avere una
vita umana se pur piccola, se pur in pericolo costante di essere
soppressa da pregiudizi negativi (quando gli esperti parlano di
pregiudizi nei confronti dei bambini si dimenticano abbondantemente di
annoverare quelli contro gli embrioni). La contraccezione è
collegata all’aborto da un filo continuo, poichè è la rinuncia alla
propria femminilità e alla propria funzione nel mondo. Che che ne
possano dire le mie colleghe che si recano nelle scuole per insegnare
biologia e igiene alle ragazzine (ovvero sia cenni di anatomia – ma non
fisiologia altrimenti dovrebbero parlare del muco vaginale il che rende
troppo libera la ragazza – e cenni di come evitare i danni peggiori dei
rapporti sessuali che, in ordine d’importanza, sono prima il bambino e
poi l’AIDS, successivamente le altre malattie brutte brutte ma non
quelle cattive cattive che ti fanno diventare sterile) con qualche
accenno alla cattiveria insita biologicamente nei maschi, la
donna è programmata per mettere al mondo i bambini e per allevarli:
insegnare alle giovanissime che è assolutamente terribile che questo
accada prima che possano essere passati il momento del divertimento e la
fase del completamento degli studi (che se va bene sono i 30 anni), significa indurre a una contraccezione che è venduta come sinonimo di libertà (il rischio di trombosi dato dalla pillola è un famoso sinonimo di libertà), ma che in effetti è solo una condanna fisica e psicologica sia
alla donna, sia ai suoi figli che avranno il dovere di nascere solo in
determinate condizioni e non in altre: potrebbe risultare positivo per i
motivi accennati sopra – maggiore consapevolezza materna – ma ha
cospicui risvolti negativi – vedasi l’avere una madre anziana durante
l’adolescenza, ad esempio.
Idem per quanto riguarda l’aborto volontario: venduto come un modo per portare avanti la libertà della donna di avere un figlio quando vuole (il sillogismo “rapporto sessuale”=”bambino” è complicato, evidentemente, da spiegare e da accettare), è un ingabbiamento contraccettivo contro il concepimento, massima potenza di due esseri umani e della delega verso la medicina: se davvero le donne volessero esprimere il massimo della loro libertà, infatti, dovrebbero pretendere di sposarsi giovani e di fare almeno 3 figli. La carriera formativa? Si può fare dopo i 30 anni. La carriera professionale? C’è sempre tempo per versare le tasse.
Idem per quanto riguarda l’aborto volontario: venduto come un modo per portare avanti la libertà della donna di avere un figlio quando vuole (il sillogismo “rapporto sessuale”=”bambino” è complicato, evidentemente, da spiegare e da accettare), è un ingabbiamento contraccettivo contro il concepimento, massima potenza di due esseri umani e della delega verso la medicina: se davvero le donne volessero esprimere il massimo della loro libertà, infatti, dovrebbero pretendere di sposarsi giovani e di fare almeno 3 figli. La carriera formativa? Si può fare dopo i 30 anni. La carriera professionale? C’è sempre tempo per versare le tasse.
Nonostante tutta la competenza che possono avere gli operatori
(professionisti o volontari) che ruotano nel mondo della nascita, le
donne fanno meno figli e, se li fanno, sono ben mature, dicevamo. La
cultura della nascita e dell’allattamento naturale della quale scrivevo
all’inizio, trasmette ottimi messaggi i cui risultati sono, tuttavia,
parzialmente deludenti: parimenti al ‘Fertility Day’ il cui obiettivo
d’incrementare le nascite è stato abbastanza deprimente, le politiche
d’incremento delle nascite si farebbero abolendo l’aborto (basterebbe
che gli operatori sanitari che parlano con le donne che chiedono l’IVG
nei consultori e negli ospedali, avessero come obiettivo quello di
salvare il bambino sapendo che è REALMENTE la cosa migliore per la donna)
e trasmettendo a ragazze e ragazzi il valore dell’amore coniugale e
della genitorialità (non è astruso, è molto più semplice di quanto si
creda, ma include spiegare il binomio libertà/responsabilità da parte di
adulti che spesso sono adultescenti) che poi arricchirebbe la maturità
dei singoli che eviterebbero, come accade sempre più spesso, di delegare
al medico completamente la propria salute e quella dei propri figli
(che ha conseguenze raccapriccianti). Tutti i messaggi
sull’importanza del parto naturale, del rispetto dell’accoglimento dolce
del neonato, dell’allattamento materno biologicamente sano, paiono non
influenzare il numero delle nascite, ma solo concentrarsi sulla singola
nascita. L’importanza del parto rispettato, nei confronti del
quale molti sanitari – inclusa la sottoscritta – operano, incrementa
effettivamente il desiderio della donna di mettere al mondo bambini? No: l’unico
atteggiamento che muterebbe questo decadimento sarebbe semplicemente
far capire che tutti i bambini saranno ben accolti anche e soprattutto
se a metterli al mondo sono dei giovani: insegnare che fare
l’amore porta alla nascita di un bambino (voluto o meno è un dettaglio:
non ho mai visto madri non osservare con amore figli anche non cercati,
anche quelle con parti pessimi) e trasmettere il messaggio “State
tranquilli lo stato vi tutela” è un circolo virtuoso che, se innescato,
sarebbe solo positivo.
Per chi desiderasse avere la prova certa che la fiducia nei confronti
delle giovani donne rasenta lo zero (con la conseguenza ignobile di
renderli deficienti), c’è un post redatto da una famosa ginecologa che
si batte per il diritto all’aborto e la diffusione della pillola del
giorno dopo (che sul suo sito internet pare non avere effetti
collaterali, anzi: potrebbe davvero far bene). Costei, acclamata anche
da psicologhe che si battono per i diritti dei bambini (sì, lo so…),
scrive soddisfatta un frammento della vita della sua associazione (i
commenti in neretto sono miei):
“Ci chiama sollecita dottoressa di guardia medica nel nord Italia. Parecchio nord. Ha davanti una ragazza di sedici anni (sedici) a cui si è rotto il preservativo (a
lei o al suo ragazzo? Il giovine se l’è data a gambe? La mancanza di
un’educazione paterna è plausibilmente percepibile anche da questi
eventi). Vorrebbe aiutarla e ci chiede aiuto. Le diamo il riferimento di legge per cui può prescrivere alla minore (le vitamine). Controlliamo, è veramente urgente (tutti i problemi che incontriamo nella vita sono urgenti, specialmente quelli causati da noi stessi).
Le dico che può fare il mio nome che lavoro a una ASL. Ha una voce
sollevata, lieta di poter aiutare la ragazza. Ci salutiamo con una
vibrazione nella voce che parla di solidarietà fra donne (quindi se la ragazza è incinta, due donne adulte sopprimono consapevolmente una vita nel grembo di una minorenne). Di collaborazione fra medici per il bene della paziente (il quarto potenziale attore della scena è definitivamente deciso sia di troppo). Ciao collega. Ciao ragazza minorenne spaventata. E’ una domenica migliore ora”.
Io non ho certo competenze pari esperti di educazione affettiva
(vera, non quella spicciola da ASL), ma questo modo di risolvere i
problemi di una sedicenne non rende una donna giovane una donna adulta: a
parte il caso specifico (sperando che la ragazza non fosse rimasta
incinta), compiere un’anamnesi sul ciclo mestruale della ragazza? Capire
se ha ovulato? Tentare di inquadrare la situazione? Non voglio citare
il fatto di coinvolgere la madre della medesima perchè ci infiliamo in
un vespaio, ma cosa è stato trasmesso alla giovane, sul proprio corpo e
sulle proprie responsabilità? Sono certa che la ragazzina avesse una
certa competenza sul profilattico e che abbia eseguito a comando
l’ordine “Se ti si rompe vai all’ospedale dove medici gentili ti
aiuteranno”, ma cosa le rimane nell’animo? Vogliamo scommettere che a 26
anni incinta, speriamo volutamente, delegherà al medico?
Se dovessimmo quindi fare una sorta di riassunto sino qui, verrebbe da dire che i
messaggi sull’importanza del momento della nascita di un essere umano
non invogliano le donne a mettere al mondo figli, sinonimo del fatto che
diventare madri è un fatto razionale che deve essere ponderato e deciso
a tavolino (contraccezione e aborto corroborano questa fase
della vita della donna che ha il diritto di decidere sulla sua vita sin
nei minimi particolari); l’assistenza rispettosa e che privilegia la
fisiologia della gravidanza riscuote poca fama: perchè non si può far crescere donne e uomini deleganti ad altri la loro salute, per poi dire loro che questa è nelle loro mani. O
è un passaggio educativo che si fa subito consapevolmente, oppure
avremmo adulti spaventati da tutto e tutti che delegheranno ad altri,
incrementando l’insicurezza primariamente in se stessi e altre
conseguenze nefaste (citando solo mi svviene la medicina difensiva e la
quantità di cause medico-legali).
Come incrementare le nascite, quindi? Promettendo sovvenzionamenti
statali? Continuando solo ad auspicare la famosa ‘nascita rispettata’?
Premettendo il fatto che i ricchi non fanno tanti figli e che quindi il patrimonio non incrementa il numero delle nascite,
partire con promesse di sostegno alle donne o alle famiglie (che
include bonus per le nascite o per gli asili nido, ad esempio) a mio
parere non serve. Questo perchè non ci si concentra, forse,
sull’effettivo nocciolo della questione: perchè fare più figli? Perchè diventare genitori? I
figli paiono spesso essere accessori: è per questo che su rotocalchi e
quotidiani ci si lamenta del loro costo. Oltre che essere il più
costoso, un figlio è pure difficile da ‘maneggiare’: i genitori sono spesso incapaci di assumersi il ruolo genitoriale, da sempre pesante e poco remunerativo.
D’altronde come potrebbero essere i figli di una generazione che dice
che l’erotismo è un diritto e può non avere conseguenze fisiche
importanti (quale psicologiche vengono cautamente nascoste), e che sono
convinti che un diritto della donna sia quello di lavorare subito dopo
il parto (sfasciando letteralmente la propria capacità di allevare
bambini piccoli delegando asili e facendo orari improbi con conseguenze
tristi)?
Fenomeni sociali come l’aborto in caso di un concepimento non richiesto, mettono la genitorialità sul piatto economico, ma promettere aiuti alle donne per far sì che non interrompano la gravidanza non è sempre uno stimolo a non abortire.
Invece di sperare sempre che uno Stato ci allevi come una balia, se
dicessimo chiaramente alle ragazze e ai ragazzi che avere figli è
difficile ma è biologicamente predeterminato, che è un atto di coraggio
importante e arricchente, che avere una famiglia unita ti aiuta, ti sostiene e ti fa sentire meno soli al mondo (“love is love” non c’entra nulla con l’impegno familiare e i giovani lo sanno bene: specialmente i ragazzi coi genitori separati hanno questa consapevolezza che li fa essere ben più maturi dei genitori)
e ti fa maturare, magari incentiveremmo i giovani a fare figli e, di
conseguenza, lo Stato si adeguerebbe per forza. Se invece di insegnare a
indossare i preservativi trasmettessimo il valore della propria
capacità di dare la vita, magari inviteremmo i giovani a non essere
terrorizzati dalla presenza, magari anche non espressamente cercata, di
un embrioncino energico che ha tutti i diritti di essere amato. L’assoluta
arrendevolezza e speranza che ci sia sempre il ‘più grande’ che aiuta e
che spiana la strada, nella vita reale è un concetto che ci frega: alla
fine della nostra vita (che per gli adolescenti pare essere proprio
l’adolescenza, purtroppo), varranno i divertimenti accumulati o,
effettivamente, la gioia data dalla fatica dagli impegni quotidiani? I
figli di genitori separati sono quelli che sanno bene che cosa vuol
dire crescere non amati e sono quelli sui quali puntare: cercare di
riparare il malfatto di avere distrutto la vita a centinaia di migliaia
di ragazzi trasmettendo ai lori genitori il messaggio che si
può essere educatori anche disgregazioni una famiglia, è un inganno
totale, e questo i ragazzi lo sanno. Lo sanno perchè altrimenti non
avrebbero così paura di assumersi responsabilità!
E di inganno si tratta anche quello di tante pubblicazioni sul parto naturale che vengono diffuse anche nei corsi pre-parto: una
buona nascita non la si ha né delegando i sanitari, né lottando con
essi (obiettivo di molte autrici femministe è quello di trasmettere il
messaggio che la Medicina è maschile e quindi cattiva), ma raccogliendo
la sfida del passaggio alla delicata fase della genitorialità, che parte
dal momento della nascita e dura tutta la vita, in modo sereno e
consapevole (alcuni testi che trattano della fisiologia e della
possibile patologia sono ottimi), non immaginando altro che il momento
della propria trasformazione in modo da viverlo anche avendo fiducia in
sé come donne (e uomini accanto ad esse) e sapendo che ogni volta che si
partorisce va sempre statisticamente meglio e maturando fiducia nel
fatto che la donna è madre. Madre e padre per sempre e non solo per quell’attimo in cui da alla luce il proprio figlio. Forse
il limite di tutte quelle pubblicazioni a favore della nascita naturale
è che vengono cospicuamente disattese dal fatto che la nascita è
un passaggio duro che porta la donna e l’uomo a essere genitori, che
non è mai semplice: tutt’altro. Trasmettiamo questo messaggio ai ragazzi
e alle ragazze: hanno bisogno della fiducia degli adulti.
Distribuire la pillola o il preservativo e l’ennesimo
messaggio che dice loro:” Siete incapaci, lasciate stare. Se proprio
dovete scopare (chiedo scusa ma l’allocuzione “fare l’amore” porta a
una relazione feconda), fatelo senza crearci fastidi”.
Rachele Sagramoso
*Probabilmente per i non addetti ai lavori non è scontato: la donna
che vive la nascita del proprio figlio in modo non rispettoso (anche se
magari i medici si comportano adeguatamente) oppure subìsce un cesareo
(magari anche motivato da indicazioni mediche e chirurgiche chiare ed
inequivocabili), rimane frustrata del fatto del non essere stata, in
qualche modo, capace di dare la vita: non è un’incapacità di adattamento
o un capriccio, ma è una vera e propria condizione di sofferenza
psicologica (quella fisica si supera con facilità, ma mente e corpo sono
collegate) che spesso influisce sulla capacità di prendersi cura del
proprio neonato in modo adeguato. Non tutte le donne che vivono nascite
complesse, percepiscono queste emozioni: sicuramente, tuttavia, è una
condizione della quale parlare e che dipende da vari fattori. Il fatto
che alla donna si informi molto di più sulla propria condizione di
gravida, il fatto che le venga offerta la possibilità di ricevere
un’assistenza più adeguata e meno medicalizzata possibile, la
possibilità di partorire meglio (laddove ‘meglio’ è anche con un cesareo
non percepito come un’imposizione violenta), migliorano l’adattamento
della madre al neonato e, soprattutto, la propria fiducia in sé come
donna e madre capace di dare la vita al proprio figlio. Anche
l’allattamento ricade sotto questo meccanismo: la donna non soddisfatta
del fatto di non aver allattato (spesso per mancanza d’informazione),
quando poi ha la possibilità di allattare è molto più soddisfatta di sé.
Sottolineo che queste situazioni spiacevoli che sono d’intralcio alla
capacità di adattamento della donna, dipendono comunque da un primo
fattore determinante: le donne e gli uomini sono soli e senza famiglie
di provenienza, il che rende un passaggio fondamentale come il divenire
genitori, piuttosto complesso.
** per chi è interessato ai dati sia sul cesareo, sia sul VBAC, è possibile attingere a questa fonte ministeriale http://95.110.213.190/PNEedizi
*** i dati numerici citati sono tratti da http://www.salute.gov.it/imgs/
Dal sito lacortedeiliberi.it